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al Sud va meno del 2%, il «pieno» in Lombardia


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Lo strumento in sé funziona, ma produce squilibri tra i territori non tollerabili in un settore, i beni culturali, che dovrebbe unificare la penisola, tutta meritevole al Nord come al Sud, nelle città come nei borghi, di tutela e valorizzazione. E invece se si scorre l’elenco delle iniziative attualmente aperte e finanziabili con l’Art Bonus spicca una concentrazione territoriale fortissima delle somme ricevute, con la Lombardia – tanto per fornire un dato – in grado di raccogliere oltre cento volte le donazioni che arrivano in Sicilia e con la Campania praticamente a secco. I primi cento progetti per importi ricevuti tramite l’Art Bonus e relativi a «manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici» sono 94 al Centronord e 6 nel Mezzogiorno: tre in Puglia, due in Abruzzo e uno in Sicilia. E se si guarda al valore in euro di quelle cento iniziative la fetta del Mezzogiorno si assottiglia fino a scendere sotto il 2%: 98,6% al Centronord e 1,4% al Sud.

L’Art Bonus, eppure, è un fiore all’occhiello del sistema di incentivi fiscali in Italia. Nato nel 2014 per iniziativa del ministro della Cultura del governo Renzi, Dario Franceschini, era giustificato con la «straordinaria necessità e urgenza» di intervenire a Pompei, alla Reggia di Caserta e all’Aquila e poi è rimasto in vigore nonostante i cambi di colore degli esecutivi, garantendo un supersconto fiscale ai cosiddetti mecenati, pari al 65% dell’importo donato, da utilizzare come credito d’imposta. Uno strumento utilizzato da singoli cittadini, per piccoli importi, e per somme rilevanti da grandi imprese, aziende di credito e fondazioni di origine bancaria. Ed è qui il vizio d’origine dell’Art Bonus: in un Paese che ha uno storico divario economico e finanziario, soprattutto nel settore del credito, diventa inevitabile che i soggetti economicamente forti e radicati territorialmente finiscano col contribuire a iniziative vicine alla propria sede legale o comunque al centro dei propri interessi economici. E così alla Reggia di Caserta, citata nel decreto, in undici anni non è arrivato un centesimo. Pompei ha un intervento in corso da 1,3 milioni fermo a 115mila euro e uno chiuso il cui importo raggiunto fa arrossire: 1.224 euro. Le fondazioni bancarie, del resto, già hanno nei propri statuti la tutela del beni culturali e quando è scattato l’Art Bonus hanno chiesto all’Agenzia delle Entrate se ai loro interventi spettassero in automatico i forti sconti fiscali, ottenendo risposta positiva. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una concentrazione di risorse dei 3.467 interventi finora attivati e per metà chiusi che ricalca quella dei big della finanza. E così, tanto per fare un esempio, la Scala di Milano in undici anni ha ricevuto 206 milioni di euro mentre il San Carlo di Napoli non è ancora arrivato a 5 milioni. Quaranta volte di meno.

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I fondi dell’Art Bonus, si dirà, sono privati e aggiuntivi rispetto a quelli ordinari. Inoltre il Fondo per la tutela del patrimonio culturale interviene nel medesimo campo della tipologia A dell’Art Bonus e ha importi che non sono in grado di consentire un sano equilibrio territoriale. Il suo valore per il 2025 è di 130 milioni di euro, una fettina dei quali peraltro destinata proprio a cofinanziare l’Art Bonus. Ebbene: la Campania quest’anno riceverà da quel Fondo nazionale 12,4 milioni posizionandosi al terzo posto dopo Lazio (31,9 milioni) e Toscana (15,7 milioni). Con l’arrivo dei soldi dell’Art Bonus però la Campania resta in sostanza inchiodata alla somma base e scivola al settimo posto, superata da Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte.

E l’Umbria, che secondo i criteri di riparto del Fondo nazionale ha un peso pari a un settimo della Campania, dopo il conteggio dell’Art Bonus moltiplica per tre l’importo iniziale. Clamoroso è poi il caso della Sicilia la quale non soltanto ha un ruolo del tutto marginale nelle erogazioni liberali sostenute con l’Art Bonus ma si vede assegnare dalla programmazione del Fondo nazionale del ministero dei Beni culturali appena 2,2 milioni per il triennio 2025-2027 contro gli 11,4 milioni dell’Abruzzo, i 19 milioni della Liguria o i 22,3 milioni della Calabria, i cui patrimoni culturale pur rilevanti non sono certamente paragonabili a quello siciliano. Il Fondo per la tutela del patrimonio culturale con 520 milioni spalmati in tre anni non copre tutte le richieste ricevute dai territori, pari a 937 milioni, per cui l’Art Bonus diventa fondamentale. Ma il suo meccanismo privo di criteri di riequilibrio fa saltare qualsiasi principio di equità. Al punto che un singolo intervento in un capoluogo di provincia può ricevere in un colpo solo una cifra maggiore di una intera regione per tre anni. È il caso del complesso dell’ex Caserma Manfredini a Cremona che con 23.241.500 euro già incassati ha a disposizione un milione di euro in più di quello che deve bastare alla Calabria per tre anni.





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