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Unimpresa: crolla la produttività in Italia, servono aiuti per le microimprese


La produttività del lavoro in Italia è in caduta libera: -2,5% nel 2023, uno dei peggiori dati in Europa. Una crisi strutturale che da oltre vent’anni frena la competitività del sistema produttivo e impedisce una crescita stabile dei salari. È quanto emerge da un’analisi del Centro Studi di Unimpresa, secondo cui il problema affonda le radici nella micro-dimensione delle imprese italiane: oltre il 94% ha meno di 10 dipendenti, mentre solo lo 0,09% rientra nella categoria delle grandi aziende. Il valore aggiunto dell’economia è cresciuto nel 2023 di appena lo 0,2%, a fronte di un aumento del 2,7% delle ore lavorate: un disallineamento che spiega il crollo della produttività. Male anche la produttività totale dei fattori (-1,9%) e quella del capitale (-0,9%). «La frammentazione del tessuto produttivo impedisce economie di scala, investimenti in tecnologia e una vera politica di innovazione. Le microimprese vanno aiutate. Servono misure strutturali e urgenti: aggregazioni e reti d’impresa, incentivi per l’adozione di tecnologie, un nuovo protagonismo della contrattazione di secondo livello e più formazione. Senza un cambio di passo deciso l’Italia rischia una stagnazione pluriennale, con effetti negativi su salari, occupazione e finanza pubblica» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

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Secondo il Centro studi di Unimpresa, nel 2023 la produttività del lavoro in Italia ha registrato una contrazione del 2,5%, un dato tra i peggiori in Europa. Il calo si colloca in un contesto in cui il valore aggiunto del sistema produttivo è aumentato di appena lo 0,2%, mentre le ore lavorate sono cresciute del 2,7%: un disallineamento che ha portato a una vera e propria compressione della produttività. La produttività totale dei fattori, indicatore che misura gli effetti combinati di innovazione e organizzazione, è anch’essa calata dell’1,9%, mentre la produttività del capitale ha segnato un -0,9%. Nel lungo periodo (2000–2020), l’Italia ha registrato una crescita media annua della produttività oraria dello 0,33%, contro l’1% della Germania e lo 0,95% della Francia. Un differenziale che evidenzia una stagnazione pluridecennale, ancor prima della crisi pandemica. Questa debolezza cronica rappresenta un nodo strutturale irrisolto, che frena la competitività delle imprese italiane e compromette la possibilità di un aumento stabile dei salari reali.

Uno dei principali fattori che spiegano la scarsa produttività è la micro-dimensione del tessuto imprenditoriale: l 94,9% delle imprese italiane ha meno di 10 dipendenti; solo lo 0,09% rientra nella categoria delle grandi imprese(>250 addetti), ma queste ultime impiegano oltre il 23% della forza lavoro complessiva; le microimprese, pur rappresentando la quasi totalità del tessuto produttivo, impiegano solo il 42% degli addetti, e registrano i livelli più bassi di produttività. Le grandi imprese mantengono livelli di produttività superiori grazie a un maggiore accesso a finanziamenti e all’adozione di tecnologie innovative.

Nel 2024, la crescita del valore aggiunto è stata trainata da: agricoltura +2,0%, costruzioni +1,2%, servizi +0,6%, industria +0,2% (di cui industria in senso stretto -0,1%). Il dato conferma la terziarizzazione crescente dell’economia italiana, ma anche una certa debolezza del settore industriale, che dovrebbe essere invece il principale motore dell’innovazione e della produttività. Pertanto, è indispensabile: favorire la crescita dimensionale delle imprese, anche con incentivi a fusioni, reti e aggregazioni; investire in innovazione e digitalizzazione, con misure mirate a supportare le PMI nell’adozione di tecnologie; rafforzare la contrattazione di secondo livello, come leva per legare retribuzioni a produttività e valorizzare il capitale umano; potenziare la formazione tecnica e professionale, per rispondere al disallineamento tra domanda e offerta di competenze.

Immagine di freepik



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