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Esg, è la fine di un’era? I fondi, le organizzazioni e le aziende che non mollano la strada della sostenibilità


di
Francesca Gambarini

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Il forum dei ceo delle società aderenti al Global Compact Onu in Italia rimarca l’impegno verso modelli di business innovativi. «L’Europa non ha cambiato idea, bene norme più accessibili», dice Bernacchi (UngcnI). Calderini (Polimi): «La sostenibilità ora sia trasformativa»

I dazi dall’America che incombono. Il riarmo globale che avanza. Il multilateralismo in affanno. Una società tragicamente polarizzata. Big come JP Morgan Chase, Citigroup e Bank of America che escono dalla Net-Zero Banking Alliance. L’Europa che posticipa e ridimensiona il sustainability reporting con il pacchetto Omnibus. Con un quadro così, che rischi ci sono per il futuro della sostenibilità e per le imprese che avevano imboccato questa strada? Il tema è tra i più caldi sui tavoli di think thank e organizzazioni. Anche su quello del Global Compact Network Onu in Italia, che ha tenuto il suo decimo Business & SDGs High Level Meeting a Roma, ospitato da Cassa depositi e prestiti, sul tema della digitalizzazione per accelerare la just transition, la transizione giusta verso i 17 Goal di sostenibilità dell’Onu. A porte chiuse, trenta ceo delle imprese aderenti all’iniziativa hanno discusso di priorità strategiche in un contesto che cambia velocemente e di come rendere la sostenibilità «sostenibile» per i business, coniugando la doppia transizione, digitale ed ecologica, con competitività e crescita. «Per il Global Compact non esiste un modo diverso di intendere lo sviluppo: ormai è chiaro che la sostenibilità dà vantaggi competitivi quando integrata nella strategia di un’azienda — rimarca Daniela Bernacchi, executive director della rete onusiana in Italia —. Sul pacchetto Omnibus voglio sottolineare l’aspetto positivo, cioè la svolta verso l’accessibilità: tante imprese si erano lamentate della difficoltà di una compliance molto complessa che, pur tendendo alla massima accountability, rischiava di diventare un esercizio compilativo, e non un supporto alle strategie, con costi in risorse umane e sistemi molto elevati». 

I segnali dei mercati

L’obiettivo finale è che il bilancio di sostenibilità «diventi di supporto alle decisioni di lungo termine dell’azienda. In ogni caso, la Commissione rimarca che la rendicontazione è un requisito da cui non si torna indietro: si tratta di trovare il punto di equilibrio tra esigenza di accountability e fattibilità per le imprese», prosegue Bernacchi. Ci sono poi i mercati finanziari che, almeno in Europa, non hanno ancora fatto grandi passi indietro sulla sostenibilità. A livello globale, a fine 2024, i fondi Esg avevano raccolto un nuovo record: 3,2 mila miliardi di masse gestite, 8% in più del 2023 (dati Forum della finanza sostenibile), con la gran parte delle masse concentrate in Europa (84%), e con gli Usa in calo (dal 15% al 11% in cinque anni). «I mercati danno segnali forti, come è stato nel caso dei dazi — aggiunge Bernacchi —. Essere in Europa ci fa ben sperare: la direzione non si cambia». È d’accordo Mario Calderini, docente alla School of Management del Politecnico di Milano: «La sostenibilità ha sicuramente vissuto un backlash negli ultimi tempi, in termini di posizionamento e dichiarazioni, per ora però non vedo grandi riorientamenti di capitali e operazioni, tranne che nella diversity & inclusion. C’è stato un rigetto, sicuramente negli Usa, in parte in Europa. Negli Usa il tema è politico, in Europa è una reazione a un errore della Commissione che non ha valutato il dividendo sociale e occupazionale che la transizione porta con sé». 




















































Il rischio di essere superati

Il riferimento è, ad esempio, alle tappe per la transizione dell’automotive. «Non è un rigetto populista ma a una over regulation che implica grandi costi. Credo però che l’Europa, al netto degli errori, debba difendere la sua identità di pioniera della sostenibilità». E mentre ci chiediamo se la crisi di competitività europea non sia causata dagli impegni presi in sostenibilità, Cina ed Emirati Arabi Uniti hanno emanato nuovi piani Esg. Resteremo ancora una volta indietro? «L’Europa ha fatto una scelta e in prospettiva non vediamo segnali di un cambio di direzione. Eravamo abituati a fare sostenibilità in un mare calmo e ora il vento è cambiato: aggiusteremo le vele — dice Elena Shneiwer, head of Esg Engagement & Cultural Heritage di Cdp —. Come sottolineato dai nostri vertici, abbiamo rafforzato un approccio pragmatico che è alla base anche del nuovo piano strategico e del piano Esg 2025-2027: attiveremo 170 miliardi di investimenti nel triennio coniugando la crescita economica con una transizione giusta. Questo perché la sostenibilità integrata al business funziona, se è solo compliance, non è sufficiente. Il pacchetto Omnibus è una pausa di riflessione per capire come aggiustare il tiro e non addebitare alle aziende costi eccessivi per il reporting». 

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Come ricalibrare gli Esg

Cdp ha anche sostenuto l’Impact Award del Politecnico di Milano per valorizzare i migliori progetti a impatto di imprese e pubbliche amministrazioni, con un premio speciale per le Pmi del Sud. Sono oltre 130 le candidature arrivate. C’è chi dirà: i virtuosi ci sono sempre, e gli altri? «Abbiamo oltre 700 aderenti — chiosa Bernacchi —, il numero è in crescita e non abbiamo cancellazioni. Abbiamo fiducia nelle aziende e il nostro prossimo Sdgs Annual Forum affronterà il tema della sostenibilità e della competitività, mentre sono in partenza nuove iniziative di supporto alle Pmi, nel reporting e per il sustainable procurement». Alla fine, chi crede nella sostenibilità continuerà a farla in modo ancor più serio, alla (strenua) ricerca di modelli di business capaci di generare non solo valore economico, ma anche benefici sociali e ambientali. Conclude Calderini: «È l’occasione per domandarci che tipo di sostenibilità vogliamo davvero: quella più superficiale che guarda solo al ritorno? Fino ad oggi gli Esg sono stati molto E (ambiente) e poco S (sociale). Dobbiamo cogliere l’opportunità di ripensare la sostenibilità, perché sia meglio misurata e davvero trasformativa».

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