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In Polesine tracollo dei lavoratori


Polesine senza lavoratori. Sembra un paradosso, viste le difficoltà del mondo occupazionale polesano, ma entro 10 anni i lavoratori in provincia di Rovigo potrebbero essere circa 17mila in meno. Per la precisione 17.112 meno di adesso. Si tratta dello studio della Cgia di Mestre che ha elaborato dati Istat e che evidenzia, ancora una volta, le conseguenze dello spopolamento del territorio. Si calcola infatti che fra 10 anni la popolazione polesana in età lavorativa (15-64 anni) sarà di 121.267 persone, contro le 139.379 dell’anno in corso. Quindi un calo di 17.112 unità, e del 12,4%. La flessione più marcata del Veneto, e fra le maggiori del centro Nord Italia.

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Le proiezioni demografiche indicano che, entro i prossimi dieci anni, la popolazione in età lavorativa in Veneto diminuirà di quasi 239mila unità (precisamente 238.745), pari a una riduzione del 7,8 per cento. All’inizio del 2025 questa fascia demografica contava poco più di 3 milioni di veneti; si prevede che nel 2035 la platea scenderà a 2,8 milioni. Tale calo è attribuibile al progressivo invecchiamento della popolazione: con un numero sempre più ridotto di giovani e un consistente gruppo di baby boomer prossimo all’uscita dal mercato del lavoro per raggiunti limiti d’età, il nostro Paese rischia lo “spopolamento” della coorte anagrafica potenzialmente occupabile.

In Veneto Tra le province venete quella con lo score più negativo è Rovigo. Il Polesine subirà una diminuzione del 12,4 per cento (-17.112 persone). In termini percentuali nessun’altra provincia del Centronord è destinata a fare peggio. Seguono Belluno -9,9 (-11.955), Venezia -9,4 (-48.860), Vicenza -8,7 (-47.351), Treviso -7,7 (-42.846), Padova -7,4 (-44.183) e Verona -4,4 (-26.445).

Lo studio La Cgia sottolinea che tutte le 107 province italiane monitorate in questo studio registreranno nei prossimi dieci anni una variazione assoluta negativa, confermando che il fenomeno colpirà tutte le aree del Paese. L’analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato le previsioni demografiche dell’Istat.

Il Pil Se si considera il declino demografico insieme all’instabilità geopolitica, alla transizione energetica e a quella digitale, nei prossimi anni le imprese sono destinate a subire dei contraccolpi molto negativi. La difficoltà, ad esempio, nel reperire giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali è un problema sentito già oggi, figuriamoci tra un decennio. E’ importante sottolineare che chi spera in un’inversione del trend demografico rischia di rimanere deluso, poiché non esistono misure efficaci in grado di modificare questa tendenza in tempi ragionevolmente brevi. Inoltre, nemmeno il ricorso alla manodopera straniera potrà risolvere completamente la situazione. Di conseguenza, dobbiamo prepararci a un progressivo rallentamento del Pil. Va inoltre considerato che una società con una popolazione sempre più anziana e meno giovane dovrà affrontare un aumento rilevante della spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale.

Pmi penalizzate Da qualche anno in tutto il Paese le imprese denunciano grosse difficoltà nel reperire personale qualificato da inserire nei propri organici. Nei prossimi anni, tuttavia, il Mezzogiorno potrebbe incontrare meno problemi rispetto al Centronord. A differenza di quest’ultimo, infatti, il Sud e le Isole presentano tassi di disoccupazione e inattività significativamente elevati. È evidente che molte aziende, in particolare quelle di piccole dimensioni, saranno costrette a ridurre gli organici a causa dell’impossibilità di procedere ad assunzioni. Per quanto riguarda le medie e grandi imprese, invece, la problematica potrebbe risultare meno rilevante: grazie alla possibilità di offrire salari superiori alla media, orari flessibili, benefit e pacchetti significativi di welfare aziendale.

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Banche Un Paese con una popolazione in progressivo invecchiamento potrebbe affrontare, nei prossimi decenni, significative sfide nel mantenimento dell’equilibrio dei conti pubblici, soprattutto a causa dell’incremento delle spese sanitarie, pensionistiche. Considerando la minore propensione alla spesa tipica della popolazione anziana rispetto a quella giovanile, una società prevalentemente composta da persone in età avanzata rischia di ridurre il volume d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo. Al contrario, il settore bancario potrebbe essere tra i pochi a beneficiare di alcuni effetti positivi: grazie a una maggiore inclinazione al risparmio rispetto alle altre coorti anagrafiche, la popolazione anziana potrebbe incrementare il valore economico dei propri depositi.

Nei territori Veneto tra le regioni del Nord e Rovigo tra le province del Centronord registreranno i risultati peggiori. Secondo l’elaborazione della Cgia le contrazioni della popolazione in età lavorativa più importanti riguarderanno, in particolare, il Mezzogiorno. Lo scenario più critico investirà la Sardegna che entro il prossimo decennio subirà una riduzione di questa platea di persone del 15,1 per cento (-147.697 persone). Seguono la Basilicata con il -14,8 per cento (-49.685), la Puglia con il -12,7 per cento (-312.807). Il Veneto registrerà una flessione del 7,8 per cento, pari al dato medio nazionale. Tra tutte le regioni del Nord siamo quella con la riduzione della popolazione lavorativa più importante. Per contro, le regioni meno interessate da questo fenomeno saranno il Trentino Alto Adige con il -3,1 per cento (-21.256) la Lombardia con il -2,9 per cento (-189.708) e, infine, l’Emilia Romagna con il -2,8 per cento (-79.007). A livello provinciale, la flessione più importante si verificherà a Nuoro con il -17,9 per cento. Seguono la Sud Sardegna con il -17,7, Caltanissetta con il -17,6, Enna con il -17,5 e Potenza con il -17,3.





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