Fra pochi giorni comincerà ad essere attivo il nuovo governo tedesco, frutto delle elezioni del 22 febbraio scorso. Lunghe trattative, ma in fondo non troppo per le tradizioni germaniche. Sempre secondo le tradizioni, ne è risultato un accordo di coalizione analitico e dettagliato che renderà più facile il futuro lavoro comune. La nuova coalizione è formata dai due ex grandi partiti, cioè un raggruppamento fra i popolari della CDU/CSU e i socialisti dell’SpD, una coalizione in partenza assai più omogenea della precedente nella quale i disaccordi erano forse più numerosi degli accordi.
Il nuovo programma di governo è racchiuso in un ponderoso volume di 146 pagine, estremamente analitico e caratterizzato da un equilibrio che renderà probabilmente meno spigolosa la vita del governo, fatti salvi i rapporti interpersonali e le caratteristiche dei diversi ministri, molti dei quali sono nuovi nel loro ruolo di governo, a partire dal Cancelliere Merz.
Analizzate alla lettera, le novità del programma sono relativamente modeste sia riguardo alla politica sociale che alle pensioni, al fisco, all’energia e, in fondo, anche alla politica europea. Tutto questo anche per smussare le divergenze, non certo trascurabili, che esistono all’interno dei due partiti che formano la coalizione.
Nonostante tutto questo il governo tedesco sarà assai diverso da quello precedente nella politica interna, in quella estera e nel ruolo della Germania in Europa. Nei fatti saremo di fronte a notevoli differenze.
In politica estera, anche se non sono da prendere alla lettera le primitive affermazioni di Friedrich Merz riguardo a un forte distacco dall’America, si prepara una strategia più assertiva e, in economia, sarà messa in atto una politica per rendere più attrattivi i titoli pubblici tedeschi nei confronti di quelli americani. A questo si aggiungeranno una politica commerciale più attiva, per sostituire la probabile diminuzione del surplus della bilancia commerciale nei confronti degli Stati Uniti, un forte aumento delle spese militari e un parallelo rafforzamento dell’industria degli armamenti. Nella politica interna si assisterà ad un deciso cambiamento, con un poderoso progetto di aumento degli investimenti nelle infrastrutture e, col tempo, delle spese militari. Tutto questo con un duplice obiettivo: modernizzare un settore troppo trascurato in passato e dare impulso ad un’economia che da troppi anni si trova in una situazione di sostanziale stagnazione.
Il tutto è frutto dello storico abbandono della dottrina del bilancio in pareggio che era diventata un dogma così indiscusso da essere stata persino inserita nella Costituzione, come se il bilancio dello Stato non dovesse essere in attivo o in passivo a seconda delle necessità del paese. Si tratta di un grande risultato della nuova coalizione riguardo a un vincolo che ha condizionato non solo la politica tedesca, ma persino quella europea.
Anche se non vi è nessuna grande novità nel programma, si presentano cambiamenti di rilievo nella politica europea, dove si prospetta il ritorno ad una più attiva presenza tedesca e a un rapporto più stretto e operativo con la Francia. Il che potrebbe anche porre fine alla sostanziale paralisi europea degli ultimi anni.
A seguire i dibattiti interni tedeschi, questo quadro ottimistico si attenua sensibilmente perché molti dei problemi che hanno provocato la ormai lunga crisi del sistema economico germanico sono strutturali e più difficili da modificare di quanto non sia un semplice cambiamento del bilancio.
In primo luogo l’impressionante aumento del protezionismo pone sfide pesanti per un paese che proprio nelle esportazioni ha fondato il pilastro fondamentale della propria economia. A questo si aggiunge il problema della quantità e della qualità della forza lavoro. Manca infatti mano d’opera a tutti i livelli e crescono le critiche ai processi formativi delle pur formidabili strutture di istruzione tecnica, soprattutto nei confronti delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale. Il tutto aggravato da una politica sostanzialmente ostile ad ogni possibile fenomeno immigratorio. Non per nulla il nuovo ministro degli interni è stato scelto nell’area bavarese della CSU, ostile a qualsiasi apertura nei confronti dell’arrivo di stranieri.
Non va inoltre trascurata la pesantezza della burocrazia e la debolezza di un mercato finanziario ancora troppo ristretto per fare concorrenza al dollaro e che, anche in Germania, trova grandi difficoltà ad allargarsi, come emerge dall’ostilità di fronte alla possibile integrazione fra Unicredit e Commerzbank.
Quindi anche una politica di “deficit spending” non basta, soprattutto se messa in atto in un singolo paese e, ancora di più, quando sono fra loro in contraddizione le politiche necessarie per aumentare la produttività del sistema economico.
Contraddizioni che non sono proprie solo della Germania, ma toccano con forse maggiore intensità il nostro paese, peraltro così dipendente dall’economia tedesca. Anche in Italia l’esportazione è il sostegno dell’economia e le imprese cercano disperatamente mano d’opera che non arriva perché l’offerta, in quasi tutte le specializzazioni, non viene adattata alle nostre caratteristiche né dal punto di vista qualitativo né quantitativo, mentre non esiste una politica dell’immigrazione correlata con le nostre necessità. Almeno su questi temi non è opportuno vantarci di avere problemi simili a quelli tedeschi.
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