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La ricetta del lavoro povero


C’è un elemento comune, un filo rosso che sembra un fil di ferro, tra i quattro programmi elettorali dei candidati a sindaco alle prossime amministrative di Sulmona. Il turismo è la voce ricorrente, spesso ridondante, che occupa pensieri e obiettivi di tutte le coalizioni. Diventa, spesso, anzi, l’unico riferimento per lo sviluppo economico della città; immaginata come una sorta di parco monotematico dove i turisti diventano la fonte quasi esclusiva di ossigeno per la sopravvivenza e il reddito dei sulmonesi.

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C’è chi, anzi, come il candidato di Metamorfosi Nicola Di Ianni, punta sulle tasse turistiche (non è chiaro se la tassa di soggiorno, introdotta un paio di anni fa tra mille critiche, o ulteriori balzelli) per finanziare la conservazione dell’ambiente e gli investimenti, immaginando l’apertura di ostelli e multiproprietà in edifici pubblici e trasformando in “parco avventura” cultura, natura, sport e perfino visite mediche.

Il peso dato al turismo dai quattro candidati, con sfumature e fattibilità diverse, è quasi esclusivo nell’economia dello sviluppo; perché poi per imprese e fabbriche sono pochi gli accenni. Il candidato del centrosinistra Angelo Figorilli dedica un capitoletto ai lavoratori della Marelli “emblema di un mondo che si evolve brutalmente verso delocalizzazioni selvagge” e si impegna al dialogo con sindacati, impresa e istituzioni “per mantenere in vita la fabbrica più grande del nostro territorio”. Il resto è smart working e turismo, appunto.

Gli altri, d’altronde, neanche la menzionano la ex Fiat, puntando, tanto la Puglielli, quanto Tirabassi, a cambiare le regole e le norme del nucleo industriale, per adeguarlo alle rinnovate esigenze di mercato. C’è chi si spinge a ipotizzare uno sportello per le piccole e medie imprese, ma a tirare la linea complessiva la vocazione turistica, al massimo con qualche punta sull’artigianato, sembra essere per tutti la panacea a tutti i mali.

Nessuno, però, si chiede quale sia la vera economia legata al turismo, quanto questo possa sostenere il reddito di una città di 22mila abitanti e quale sia, soprattutto, la qualità del lavoro che ad esso è legata.

Nel turismo, infatti, il fenomeno del cosiddetto “lavoro povero”, ovvero non in grado per tempi e retribuzione di garantire una vita dignitosa al lavoratore, è secondo solo al lavoro domestico. In Abruzzo questo fenomeno riguarda oltre 173mila persone, l’86% delle quali lavora esclusivamente nel settore turistico. L’Irpet (istituto per la programmazione economica della Toscana) ha calcolato che il 40% dei lavoratori nel settore turistico sono “lavoratori poveri”, ovvero con una retribuzione inferiore agli 8mila euro l’anno, con una media di paga giornaliera lorda che è di 60 euro rispetto a quella di 96 euro della media delle altre professioni.

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Anche nelle imprese turistiche più strutturate la precarietà e i salari bassi sono un dato di fatto: il rapporto dell’Osservatorio sul mercato del lavoro nel turismo, elaborato da Federalberghi in collaborazione con Ebnt (ente bilaterale nazionale turismo) dice che nel 2023 i circa 30mila addetti di media in Abruzzo che lavorano nelle oltre 5mila imprese del settore, hanno per l’88,8% la qualifica di operaio. I lavoratori a tempo parziale sono il 56,9%, il 20,3% sono stagionali (percentuale che sale al 58,3% nel settore alberghiero) e solo il 34,6% sono non stagionali. A questo si aggiunga che in Abruzzo l’87% delle imprese con dipendenti è un pubblico esercizio dove la media dei giorni lavorativi nel 2023 è stata di 168 giornate retribuite, con una media retributiva standardizzata, per i lavoratori a tempo pieno, di 20.774 euro lordi l’anno (fonte Inps 2023).

Buon primo maggio.





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