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la festa dei lavoratori e il paradosso dei working poor


Operaio siderurgico – foto Barbara Guazzone
di Andrea Olimpi

PRIMO MAGGIO – Mentre il Primo Maggio celebra il lavoro, molti lavoratori italiani affrontano la realtà della povertà nonostante un impiego.
In occasione della Festa dei Lavoratori, fa riflettere su una realtà sempre più diffusa: quella dei “working poor”, ovvero lavoratori che, pur avendo un impiego, vivono in condizioni di povertà.

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IL MONDO DEL LAVORO

Secondo i dati ISTAT, a febbraio 2025 il tasso di disoccupazione in Italia è sceso al 5,9%, il livello più basso dal 2007. L’occupazione ha registrato un aumento, con 47.000 nuovi posti di lavoro creati nel mese.

Nel dettaglio il numero di occupati è salito a 24 milioni 332mila. La crescita rispetto al mese precedente coinvolge gli autonomi, che salgono a 5 milioni 170mila, e i dipendenti a termine (2 milioni 710mila), mentre sono sostanzialmente stabili i dipendenti permanenti (16 milioni 451mila).

L’occupazione aumenta anche rispetto a febbraio 2024 (+567mila occupati) come sintesi della crescita dei dipendenti permanenti (+538mila) e degli autonomi (+141mila) a fronte del calo dei dipendenti a termine (-112mila). Tuttavia, nonostante questi segnali positivi, persiste il fenomeno dei working poor.

POVERTÀ LAVORATIVA

Il fenomeno dei working poor in Italia rappresenta una crescente emergenza sociale che coinvolge l’intero territorio nazionale. Il lavoro non basta più.
Secondo il Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia 2024 di Caritas Italiana, l’8% degli occupati vive in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza che raggiunge il 16,5% tra operai e assimilati.
Il numero di famiglie povere residenti al Nord è quasi raddoppiato in dieci anni, passando da 506mila a quasi un milione, con un incremento del 97,2%: segno che la povertà lavorativa non è più confinata al Sud.

In generale sono dati che confermano come, in Italia, il lavoro non sia più necessariamente sinonimo di sicurezza economica.

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A rafforzare questa evidenza è anche il Centro Studi di Unimpresa, che stima in 6,6 milioni i working poor nel 2024, pari all’11,6% della popolazione. Il dato più allarmante è che, pur in presenza di una lieve diminuzione della disoccupazione, il lavoro povero è in crescita, segnalando una debolezza strutturale del mercato occupazionale italiano.

Lo stesso report rileva come oltre 3 milioni di lavoratori in Italia guadagnino meno di 1.000 euro al mese. La dinamica colpisce in modo trasversale: molti sono impiegati nel settore dei servizi, del turismo, dell’agricoltura o in ambiti dove il precariato e i contratti part-time non volontari continuano ad aumentare.

LE DIFFERENZE REGIONALI

Il fenomeno della povertà lavorativa si manifesta con intensità diverse a seconda dei territori. Sempre secondo il report di Unimpresa, chi risiede in regioni come la Lombardia, il Piemonte e il Veneto ha rispettivamente il 50,2%, il 44,8% e il 42,4% di probabilità in meno di percepire un reddito al di sotto del 60% della retribuzione mediana nazionale.
Al contrario, in Campania, Sicilia e Calabria, le probabilità sono superiori alla media nazionale del 73,8%, 78,2% e addirittura dell’87,6%.

Dati che evidenziano un’Italia del lavoro spaccata in due: da un lato, un Nord con un tessuto produttivo più forte e salari medi più alti; dall’altro, un Sud dove la fragilità strutturale dell’economia e l’alto tasso di lavoro informale accentuano il rischio di esclusione sociale.

È altrettanto evidente, però, che la povertà lavorativa sia una delle principali sfide sociali del nostro tempo, sottolineando l’importanza di politiche attive del lavoro e di un salario minimo garantito per contrastare questa tendenza.

POVERTÀ ED ESCLUSIONE SOCIALE

Si corre quindi il rischio di povertà o esclusione sociale (AROPE), anche se questo non proviene strettamente dalla composizione e dal livello di reddito di un nucleo familiare, perché dipende da diversi fattori, che possono essere la disoccupazione, la bassa intensità di lavoro, la condizione lavorativa o una serie di altre caratteristiche socioeconomiche.

Per calcolare il numero o la quota di persone a rischio di povertà o esclusione sociale, vengono combinate 3 misure distinte:

1. Persone a rischio di povertà, ovvero con un reddito disponibile equivalente o inferiore alla soglia di rischio di povertà;
2. Persone che soffrono di grave deprivazione materiale e sociale;
3. Persone (di età inferiore ai 65 anni) che vivono in una famiglia con un’intensità di lavoro molto bassa.

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PROSPETTIVE FUTURE

Per affrontare il problema dei working poor, è necessario un intervento coordinato che includa:
– L’implementazione di un salario minimo legale.
– La promozione di contratti di lavoro stabili e a tempo pieno.
– Investimenti in formazione e riqualificazione professionale.
– Misure di sostegno al reddito per le famiglie a basso reddito.

In conclusione, mentre celebriamo il lavoro e i lavoratori, è essenziale riconoscere e affrontare le disuguaglianze esistenti nel mercato del lavoro, garantendo a tutti condizioni dignitose e un salario adeguato.

A questo link l’inchiesta della nostra redazione sul territorio: Primo Maggio

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