Luciano Tavazza, nella sua lunga esperienza come attivista, formatore e pensatore, ci ha lasciato un’eredità che si colloca proprio all’incrocio tra azione sociale, partecipazione e trasformazione. Una prospettiva di trasformazione che ha fatto fare un salto in avanti rispetto al vedere il volontariato come gesto caritatevole o forma di supplenza alle carenze dello Stato, “non siamo i barellieri dello Stato” ripeteva nei suoi discorsi.
A 25 anni dalla sua morte, Tavazza ci ha lasciato il 30 aprile del 2000, il suo pensiero rimane altamente attuale, forse aveva previsto quale sarebbe stata l’evoluzione del mondo del volontariato e in modo più ampio del Terzo settore. Ripensando ai suoi insegnamenti alcune parole risuonano più di altre, una logica necessaria di visione politica del volontariato, nel senso più alto del concetto di politica, come costruzione di polis, della comunità. In cui il ruolo del volontariato rappresenta non una marginalità, ma un agente di cambiamento sociale, che parte dalla nostra Carta costituzionale, dove il concetto di solidarietà pregna gli articoli di indirizzo come sosteneva Bauman, la solidarietà non è il prodotto della civiltà, ma la condizione che la rende possibile. Un’azione, quella narrata da Tavazza, che partiva da matrici fondamentali per cui il sogno, la visione strategica è legata alla programmazione, la progettazione e la formazione.
La solidarietà non è il prodotto della civiltà, ma la condizione che la rende possibile
Partecipazione e coesione
La visione strategica partiva dal concetto fondamentale che il volontariato, è un dispositivo di partecipazione e coesione, capace di generare legami, di produrre senso, di costruire fiducia, non solo, è anche uno spazio di critica culturale, in cui si sperimentano pratiche che mettono in discussione modelli dominanti da potere ed esclusione.
In questo occorre avere coscienza di come programmare una strategia che implichi azione, superando il concetto stretto dal mondo del volontariato di legarsi al fare, sminuendo il suo ruolo nella società, in cui si lega alla logica del supplire a mancanze, ma voce di cambiamento.
Una diade importante, perché lo sporcarsi le mani, come diceva Don Milani, implica anche il sentirsi capace di costruire un pensiero, definire obiettivi, programmare strategie, arrivare a risultati. La capacità di progettare e costruire sogni.
Formazione del volontariato
Tutto questo passa per una profonda formazione del volontario, ancora di più in un sistema mondo complesso, interconnesso. Chi è attore di cambiamento ha il compito di avere competente, valorizzare lo studio, le scienze sociali, l’economia, il legame con le Università come luogo di analisi e studio. In un mondo così complesso e intersecato tra economia, politica, intelligenze artificiali, il ruolo del volontariato, e del Terzo settore, deve essere quello di soggetti capaci di guardare oltre i propri occhi e progettare oltre il proprio respiro, con la capacità di leggere la società, trovare strumenti e modalità di analisi e avere possibilità, in questo modo di cambiare la situazione, avere coscienza critica, capacità di lettura del contesto, il coraggio di assumersi responsabilità.
Il volontariato è coinvolgimento
Il volontariato, nella visione di Tavazza, è coinvolgimento, non basta indignarsi ma stare dentro la realtà, farsi carico delle sue contraddizioni.
Un percorso che supera le barriere dell’indifferenza, sceglie di prendere parte, non osserva, ma è protagonista, non fa beneficenza ma costruisce legami. Soprattutto il volontariato è un soggetto di pace, in una società come la nostra, attraversata da polarizzazioni, diseguaglianze crescenti, crisi ambientali e democratiche, il volontariato non può essere ridotto a funzione tampone. È piuttosto un laboratorio di democrazia, un’esperienza di auto-organizzazione dal basso, spesso capace di anticipare istanze che poi entrano nell’agenda pubblica.
L’agire volontario è un contro-potere
Ma l’agire volontario, come lo intende Tavazza, ha la forza di rendere visibili, e quindi trasformabili, queste strutture. È una forma di contro-potere che nasce dal basso, da cittadini che si auto organizzano e che affermano nuovi diritti prima ancora che vengano riconosciuti giuridicamente. Forse la forza del nostro mondo è proprio questo, la capacità di trasformarsi sulla base delle esigenze che troviamo davanti, senza perdere di vista le radici profonde da cui tutto il mondo del volontariato e Terzo settore è nato.
Un organismo che spinge verso la partecipazione in prima persona, non nella logica individuale, ma nel pensiero di gruppo, un noi che rompe gli schemi e riscoprono di avere voce, possibilità, dignità.
Essere volontariato implica essere soggetti pensati, implica essere persone che scelgono da che parte stare, una scelta di campo a fianco dell’umanità, della giustizia e della pace.
Il pensiero è che il mondo del volontariato e del Terzo settore deve probabilmente interrogarsi rispetto a quale sia il suo ruolo oggi, perché la povertà umana di essere semplici barellieri, utilissimo senza dubbio, restringe le possibilità di costruire un’identità di cambiamento.
Penso che il nostro mondo sia invece nato proprio da questa identità forte di potersi pensare innesco di trasformazione, potersi permettere ancora di pensare che il mondo che abbiamo intorno non è l’unico possibile, che i mondi lontani che ci interrogano non sono solo immagini di bombardamenti, non abituarsi alla morte, ma sperare e credere nella vita.
Chi era Luciano Tavazza
Luciano Tavazza (1926 – 2000) , dopo l’esperienza nelle Acli degli anni Sessanta, nel 1978 fonda il Movimento del Volontariato Italiano – MoVI, nel 1991 diviene segretario generale della Fondazione Italiana per il Volontariato – Fivol facendolo divenire un punto di riferimento per tutto il volontariato italiano e promotore della nascita dei primi Centri di Servizi per il Volontariato. Nello stesso periodo fonda e dirige la Conferenza Permanente delle Associazioni, Federazioni e Reti di Volontariato – Convol
Nell’immagine in apertura volontari all’opera – Foto di Fabio Sasso/Avalon/Sintesi
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